Non esistono fatti, ma solo interpretazioni. Friedrich Nietzsche
Artista è soltanto chi sa fare della soluzione un enigma. Karl Kraus
In una struttura misurata di contaminazione tra arte pittorica, scatto fotografico, elaborazione digitale e ulteriore sedimentazione di colori acrilici stesi con pennellate definite e minimi interventi l’opera di Serafino Maiorano trova uno spazio indaginifico e inevitabile.
La sua ossessione è satura d’immagini da poeta visionario e architetto di sedimentazioni. La sua opera vive infatti nel conflitto di un dialogo incessante tra luoghi, spazi, tempi che si incrociano continuamente tra dimensione diacronica e sincronica. In tal modo la resa è una sotterranea verità ipotetica posta sotto scacco costantemente da un’intersezione di sottorealtà. I mondi creati attraverso questi strati linguistici e psicologici sono quindi ibridi necessari all’artista per trovare un suo luogo mentale in cui poter portare lo spettatore che di fronte alla sua opera gode sempre di un disequilibrio prospettico e mentale. Spettatore che ha il compito di trovarsi di fronte a questo elemento fondamentale della composizione per scomporsi lui stesso, per aprirsi all’origine della domanda e farsi trasportare da sinistra a destra, da sotto in su, per farsi spingere in una finzione artificiale travestita da metafora del mondo. Si potrebbe parlare di una pratica artistica che è uscita dallo spazio limitato della pura visione retinica per entrare in quello delle “ombre sensibili” hegeliane in cui la parte “invisibile” è quella più percepita, quella che distingue il comune oggetto da un oggetto d’arte. Quello che impera è il dominio della narrazione esplorata per rotture, condizionamenti, improvvise accelerazioni e progressioni che procedono brusche arricchendosi di suggestioni fisiche e psichiche nell’intellettualità ricercata delle operazioni formali portate al parossismo.
In un gioco illusionistico dell’opera compiuta Maiorano riesce a travasare una quantità di luce che sembra generata da una fonte energetica innaturale mentre la verità si rivela in strisce di bianco o in aloni nebbiosi stesi a mano e mai amplificati da neon. Il lavoro, stampato su lastre di alluminio è gioco effimero proposto sotto forma di rivendicazione essendoci l’intento da parte dell’artista di far vacillare la memoria e le certezze. Nel sistema di trasmissione dell’opera pittorica\fotografica dell’artista calabrese confluiscono differenti sistemi: analitico – costituito da relazioni spaziali e temporali tra i soggetti rappresentati -, specifico – con riferimenti figurativi che variano a seconda di ciò che viene raffigurato -, ideografico – basato su logo e sistemi identificativi – e simbolico – contenente i diversi simboli interni all’opera. Se la sua opera si dovesse confrontare con la vastità della storia dell’arte che la contiene, lo scarto di significato per guadagnare il progresso e costituire un senso avverrebbe attraverso la presa di coscienza e l’unificazione consapevole degli elementi sopra indicati e nella capacità di metterli al servizio dell’opera. In virtù di tale moto pendolare complesso, il lavoro di Maiorano è un sistema artistico completo e denotante, determinato dal predominio della trasformazione di quei singoli elementi in un ortus conclusus in cui, avvalendosi di un principio di matrice gestaltica, “il tutto è maggiore della somma delle singole parti”. La sua natura sognatrice si nutre di una componente razionale che filtra l’esplorazione di un sovraffollato mondo esteriore costituito da un’assortita variazione di spazi architettonici, scorci di città, arcate di chiese, elementi tecnologici e oggetti o persone che appartengono al suo retaggio domestico che l’artista osserva dalla sua torre d’avorio, luogo di difesa e al contempo prigione, per restituirli attraverso un codice stilistico individuale che li sottrae alla condizione di puri oggetti visivi isolati per farne racconti e storie decostruite, vorticose e in costante movimento.
Tra continua tensione, tra inquietudine e spaesamento, l’opera di Serafino Maiorano si arricchisce nell’ultima produzione di strutturata ricerca e moltiplicazioni di significato. Infatti alle architetture, agli interni, alle tonalità e alla sapienza manuale e digitale, l’artista aggiunge un tema che si innesta nel filone documentaristico – ecologico e Eco Sostenibile portando la città ad aprirsi alle domande salienti di questo momento storico ovvero il fabbisogno di produzione energetica legato ad un rinnovato rispetto per la natura. La contemporaneità dell’opera di Serafino Maiorano sta proprio nella ricerca costante di una sperimentazione intelligente, ricercata, sapiente, nel sublimare con la bellezza ciò che è necessario. Le grandi pale eoliche dislocate in spazi improbabili trovano una collocazione quasi reale malgrado lo spaesamento invochi una spiegazione plausibile che solo sovrapposizioni, evanescenze, macchie di colore e toni rarefatti riescono a giustificare rendendo ogni immagine in una posizione di perfetto equilibrio. Ai lavori fotografici Maiorano ha ora aggiunto la dimensione scultorea e tridimensionale attraverso una costruzione – scultura frutto di una ricerca sedimentata nel tempo e portata ora alla luce, cubatura corporea di tutti quegli elementi fino ad ora solo pellicolari e figurativi. L’architettura volumetrica mantiene anch’essa la complessità delle sedimentazioni e degli accavallamenti che ricreano l’atmosfera di un’archeologia da day after, una contaminazione frutto d’immaginari moltiplicati, mondi inesistenti nel presente e nel passato, ma concreti proprio nell’assenza di una dimensione naturale. In questo lavoro si verifica un innesto straniante tra l’impostazione tradizionale della scuola scultorea e l’imprevista classicità della più recente semiotica. L’orientamento va nella direzione delle prospettive generali della costruzione di una teoria sintetica della cultura visiva in cui la gerarchia complessa dei significati si avvale di un unico studiato e sapiente linguaggio. Anche quindi quando i suoi lavori a parete si fanno corporei il senso resta quello di restituire al presente e far galleggiare in superficie delle architetture metafisiche della contemporaneità che godono di più elementi associati e consociati in un unica struttura come se fosse esploso il mondo e i frammenti rimasti si fossero ricomposti per osmosi. Il lavoro di Maiorano sfugge a ciò che è scontato, contingente, amabilmente retorico e rassicurante per ritrovare una funzione destabilizzante e ristabilizzante nello stesso tempo, pronta a servirsi della storia, degli incroci, delle commistioni tra architettura e umanesimo citati e sottolineati sempre attraverso la multimedialità linguistica. La sua opera lotta per restituire alla “futura memoria” della storia le macerie di un alfabeto rifondato e rivitalizzato dalla dimestichezza di uno sguardo obliquo, contagiato dal virus prolifico della contemporaneità, riconvertito in codici ed immaginari di una costruzione complessa e trasmessa per tipologie ed appartenenze in un transitivo e germogliante fenomeno culturale.